Amor, s’i’ posso uscir de’ tuoi artigli, apena creder posso che alcun altro uncin mai più mi pigli.
Io entrai giovanetta en la tua guerra quella credendo somma e dolce pace, e ciascuna mia arme posi in terra, come sicuro chi si fida face; fu, disleal tiranno aspro e rapace, tosto mi fosti addosso con le tue armi e co’ crudel roncigli.
Poi, cirondata delle tue catene, a quel che macque per la morte mia, piena d’amare lagrime e di pene presa mi duest, ed bammi in sua balia; ed è si cruda la sua signora, che già mai non l’ha mosso sospir né pianto alcun che m’assottigli. Li prieghi miei tutti glien porta il rento: nullo n’ascolta né ne vuole udire; per che ognora cresce il mio tormento. Onde’l viver m’è noia né so morire; deh! dolgati, signor, del mio languire; fa’ tu quel ch’io non posso: dàlmi legato dentro a’tuoi vincigli
Se questo fur non vuogli almeno sciogli I legami anno dati da speranza; deh! io ti priego, signor, che tu vogli: ché, se tu’l faì, ancor porto fidanza di tornar bella qual fu mia usanza, ed il dolor rimosso, di bianchi fiori prnarmi e di vermigli. |